martedì 4 novembre 2025

Il Diamante d'Occidente

 

“Sicura di non voler provare?” Aronos la osservava attraverso la botola dall’alto del piano superiore, il suo sguardo tra lo speranzoso e il canzonatorio.
“Per l’ennesima volta, grazie, ma no, grazie” rispose Kara, cercando di non perdere il conto di quali missive avesse registrato e quali no. “Quella roba non fa per me. Mi fa solo tossire.”
“Sono errori da novizio” rincarò lui. “Poi è solo aroma”,  disse sbuffando alcuni cerchi fumosi nel tentativo di impressionarla, tuttavia ignorando lei non potesse vederli dalla sua posizione. “Dico solo che è una bella giornata. Dovresti rilassarti un po’. Oggi la brezza porta pure l’odore del lago.”
Quella osservazione fece sorgere un sorriso sardonico sul volto di Kara. “Odore? Di che? Di melma?”
“Ehi!” rispose risentito Aronos. “Porta rispetto al grande lago. Sei sempre ospite del diamante d’occidente”.
Kara emise una mezza risata. “Sono stata a Port Tenobar e ad Athenos. Il mare è un’altra cosa. Ma sì, Akesoli ha il suo fascino.” gli concesse.
Aronos rimuginò un po’ sulla risposta. Evidentemente soddisfatto, spostò il discorso. “Avrai visto un sacco di posti grazie al tuo incarico…”
“Mah…” rispose lei, spostando carte e senza nemmeno alzare la testa. “Sono stata in quasi tutto il meridione, terre di confine comprese.”
“Deve essere eccitante”.
“Fare il corriere militare? Stai sempre col culo sul cavallo. Ti fermi pochissimo, spesso in fortilizi sperduti e stai sempre a litigare coi registri. Dal mio punto di vista stare nella guardia cittadina ha i suoi vantaggi. Ma che vuoi fare? Questo passa Asterius”.
“Oh, beh. Noi ramaioli dobbiam tutti far gavetta.” concluse Aronos. Alzò quindi lo sguardo e andò ad affacciarsi al parapetto della torre, stringendo gli occhi per mettere meglio a fuoco. “Forse questa la vuoi vedere. Mi sa che sta arrivando una tormenta da ovest.”
“Ah, sì? Interessante” rispose lei, la sua concentrazione altrove, tra i timbri. Avrebbe anche potuto dirgli che c’era un drago che cantava l’opera.
“E com’è scura. Non capisco se sia un temporale. A volte sul lago se ne fanno così.” Rimuginava Aronos, sempre con un tono di voce abbastanza alto da coinvolgerla.
Fu in quel momento che qualcosa scattò nel retro della testa di Kara. Una stranezza. “Aronos, la tormenta sta arrivando da ovest, giusto?”
“Sì?”
“Ma non avevi detto che c’era brezza dal lago, dalla parte opposta?”
“Sì, la sento pure adesso. Ma che vuol di-”.
La voce della giovane guardia venne interrotta da un boato seguito da un feroce ululare. La tempesta era già su di loro. Kara ebbe un sussulto. Guardò su, verso la botola e vide che la luce aveva ora una bizzarra tonalità cremisi.
“Aronos, forse è meglio che scendi.” gridò Kara verso l’alto, sperando di riuscire a sovrastare il furore del vento. Non ricevendo risposta, mise una mano sulla scala a pioli, e provò di nuovo. “Aronos? Aronos!? ARO-” Una forma piombò giù dalla botola, sfiorandola quel tanto che bastava per farla indietreggiare d’istinto, e colpì il pavimento con un tonfo sordo. Kara ebbe un momento di confusione, prima di essere investita dall’orrida realtà. Ai suoi piedi, investito dall’anomala luce che filtrava dalle finestre, giaceva Aronos. Il suo corpo pieno di ferite e abrasioni, le sue vesti lacerate e ricoperte di sabbia rossa, i suoi occhi privi di vita.
“Cazzo cazzo cazzo cazzo cazzo!” disse di getto mentre si lanciava giù dalle scale, in cerca di qualche superiore. Scese piano dopo piano, nella speranza di trovare un senso a ciò che era appena accaduto.
Alla base della torre la situazione era di puro allarme. Una mezza dozzina di guardie stava prendendo stocchi e picche dalle rastrelliere, o allacciandosi i corpetti di cuoio, sotto le urla del sergente di guardia. Kara gli si parò di fronte. “Che succede? La guardia su…”. 
Il sergente con una faccia che sembrava tagliata nella pietra le rispose lapidario “Succede che la città è sotto attacco. Hai un’arma, ragazza? Sai combattere?” Kara annuì ancora stordita dagli eventi. Una mano sull’elsa del suo stocco. “Bene” fece il sergente. “Una spada in più fa sempre comodo.” 
“Un momento. La sabbia della tempesta… è letale.” ammonì Kara.
“Qualunque sortilegio stiano usando non arriva fino alla strada” la rassicurò il sergente, indicandogli l’uscio della torre dove già si vedevano le guardie che andavano a disporsi dietro la pesante porta di legno rinforzato. 
Kara sgattaiolò fuori guardinga. In cielo la tormenta continuava. Da una certa altezza, intorno al terzo piano dei palazzi, ingolfava tutto di sabbia rossa mulinante. Si dette un’occhiata intorno. Per la strada la gente andava a rintanarsi nei palazzi. Alcuni commercianti stavano tirando dentro le merci in fretta e furia, mentre i più pavidi, o i più accorti, si erano dileguati lasciando i banchi così com’erano. Kara, si posizionò vicino all’angolo con un vicolo e sguainò il suo stocco mentre alcuni metri avanti a lei, le guardie si stavano disponendo intorno alla porta. Le sommità delle torri non erano disponibili, sferzate dalla tagliente bufera, bisognava trovare altri modi per combattere i misteriosi nemici. Fu a quel punto che la porta esplose. Non come una palla di fuoco, che Kara aveva visto dal vivo almeno un paio di volte, ma come cede qualcosa colpito da una mazza. Pezzi di legno saltarono tutt’intorno, come lo sbocciare di un fiore di schegge. Qualcosa, grande come due carri, emerse da quel fiore. Le sue grandi ruote grigie facevano il rumore delle macine di un mulino. Travolse e sbalzò via le guardie come se nemmeno ci fossero. Passò molto vicino a Kara. Lo spostamento d’aria la buttò a terra, facendogli battere la testa. 
“Alzati, Kara. Alzati.” disse a sé stessa e si rimise in piedi, una mano sull’angolo dell’edificio e un’altra a toccarsi la nuca, sentendo l’umido del suo sangue. Qualunque cosa fosse quell’affare, stava ora tirando dritto per la strada principale. Kara non ebbe nemmeno il tempo di vedere se ci fossero superstiti tra le guardie. Un incessante e preponderante rumore di zoccoli al galoppo invase l’area. Ebbe l’accortezza di schiacciarsi sulla parete dell’edificio, coperta dall’angolo. Uno, due, quattro, dieci, decine. Coperti di neri vesti. Scimitarre sguainate. Predoni.
“Ai demoni tutto.” pensò. “Devo andar via di qui”. Raccolse lo stocco e s'inoltrò nel vicolo. Lì i cavalli non potevano entrare. 
La porta sud, dove aveva lasciato il suo destriero era a circa un miglio di distanza. Non c’era niente di certo. Per quanto ne sapesse, poteva già essere caduta anche quella. Ma non aveva scelta, poteva solo andare avanti. Si tenne nelle strade più strette fintanto che poteva, cercando di orientarsi alla buona in una città che conosceva poco. Fortunatamente in giro non c’era nessuno. O almeno così pensava. Un uomo, con uno scrigno in braccio era stato fermato da due bugbear. “Anche questi mostri?” pensò Kara, trattenendo lo schifo e cercando di non farsi vedere. I due rozzi umanoidi dai grandi occhi sembravano soli. Uno dei due spinse l’uomo a terra. Lo scrigno carambolò a terra, aprendosi e spargendo daro d’oro. Kara non aveva nessuna voglia di fare l’eroina, ma erano proprio in mezzo. I bugbear sembravano incantati dalla cornucopia di denari. L’uomo a carponi la vide e incrociò il suo sguardo. Kara gli fece un cenno e, sperando che capisse, balzo fuori brandendo lo stocco con due mani, come un pugnale, e trapassando la gola del bugbear più vicino. Il suo ghigno di trionfo si spense subito: lo stocco era rimasto incastrato nel collo dell'umanoide. L’altro umanoide, senza un minimo di esitazione, si girò verso di lei, alzando la pesante ascia. E poi, con un guaito, si accasciò.
L’uomo aveva capito, e gli aveva reciso entrambi i tendini con una daga. Kara mise un piede sul petto del suo bugbear, fece forza, estrasse lo stocco e lo usò per finire l’altro.
“Grazie per l’aiuto. Credevo di essere spacciato.” disse l’uomo, ancora a terra, rastrellando monete con entrambe le braccia.
“Sto andando alla porta sud. Sai com’è la situazione?” lo interrogò Kara.
“No, non lo so. Io vado al porto.” L’uomo si ritenne soddisfatto della sua opera di recupero, raddrizzò lo scrigno e lo chiuse.
Kara voleva dire quanto le sembrasse assurdo imbarcarsi con una tormenta in corso, ma valutò di aver fatto abbastanza per guadagnarsi l’arcadia. 
Si fece confermare dall'uomo la direzione per la porta e lo lasciò allontanarsi con le sue ricchezze. “Un aureo?” pensò. “No, avrebbe avuto le sue guardie. Probabilmente solo un argentiere senza il senso del pericolo”. Senza perdere altro tempo, scattò verso la sicurezza dei vicoli.
Quando giunse alla porta sud tirò un sospiro di sollievo. La porta era ancora presidiata dalle guardie cittadine. Delle rudimentali barricate erano state erette usando carri e banchi di legno, indice che era chiaro che il nemico sarebbe arrivato anche dall’interno della città. 
La riconobbero quasi subito. D’altronde era la fortificazione da cui aveva iniziato il suo giro. Il suo destriero, le dissero, era ancora lì, sano, salvo e rifocillato. Stavano per portarla alla stalle quando fu raggiunta da un uomo in alta uniforme. Il capitano delle guardie! 
“Signore!” disse ritrovando tutta la forma militare. 
“Soldato, sta lasciando la città?” gli fece lui perentorio.
Kara venne colta da improvviso imbarazzo. “Stava abbandonando la sua gente al loro destino invece di aiutarli?”. Non riuscì a proseguire col suo pensiero. Si udì un sibilo, uno schiocco, e una guardia poco distante da loro si accasciò. Un altro sibilo, un altro schiocco. Questa volta una freccia si appuntò su una delle barricate. Altri sibili e altri schiocchi, in crescendo, come lo scatenarsi della pioggia.
Due guardie alzarono gli scudi a protezione di Kara e del capitano, il quale li condusse più in profondità della fortificazione. Si fermarono davanti alla pesante porta, gemella di quella saltata ad ovest, aperta quel tanto che basta per fare passare una persona a cavallo. E lì, pronto e sellato, il suo destriero.
Kara capì che quello del capitano non era un rimprovero, era una speranza. 
Salì in groppa. Alle sue spalle, le guardie lottavano contro una marea montante di umanoidi. Guardò il capitano. “Signore, ma voi… la guardia…”.
“La guardia è dove deve stare”. Rispose lui. “Tu vola, ragazza. Vola! Devono sapere! Avverti tutti!”
“Tutti, signore?”
“Tutti. Le Contee, gli elfi, Glantri, Karameikos. Siamo tutti in pericolo.” e senza aggiungere altro colpì il cavallo di Kara, facendolo partire al galoppo.
Per le prime miglia non ebbe nemmeno la forza di girarsi. Quando lo fece, vide Akesoli, il diamante d'occidente, oppressa nella morsa dalla terribile bufera cremisi.
“Tutto l’aiuto possibile… Ma chi può fermare una cosa simile?”

(Immaginate che ci sia scritto Gruppo Storico. Ho provato con l'IA, ma mi ha portato a spasso senza frutto)

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