martedì 11 ottobre 2011

Prologo - parte due

Poco Prima
Era come un dormiveglia. Sospeso in un continuo dondolio tra sogno e realtà. Da quanto tempo ormai? Non ricordava. Nella profondità in cui era stato relegato era tutto falsato, tutto distorto. Il tempo aveva presto perso senso, allungandosi e accorciandosi seguendo una volontà che gli era estranea. Luci e suoni arrivavano confusi ed esagerati. Un caleidoscopio in cui era impossibile intravedere forme e percepire significati. Delle volte un colore e un rumore prendevano il sopravvento e tutto si uniformava in un unica voce. Il grido cromatico di una sensazione divenuta quasi palpabile. C'erano dei momenti in cui sembrava che fosse sul punto di risvegliarsi. Nell'apice del suono-colore qualcosa intorno a lui cambiava, e allora riusciva a districarsi, a fare ordine, a ritrovare i contorni.
La prima volta che accadde venne quasi colto di sorpresa. I mille raggi che lo accecavano si abbassarono di colpo a formare una stanza di un edificio di pietra dal tetto in paglia. Anche le urla che lo assordavano diminuirono, come se si stessero sfilando ad una ad una dal coro. Sentiva il rumore della pioggia fuori, il freddo diffuso dell'umidità, il tepore del caminetto acceso. Le urla finirono di sfilarsi lasciandone una sola, quella di un uomo. Era anziano e se ne stava lì, in ginocchio davanti a lui, la sua mano sulla testa canuta. Urlava ad occhi chiusi. Nei contorni del suo campo visivo intermittenze rosse si attenuavano in mezzo a ramificazioni verdi. Il verde finì per coprire tutto. Si sentì ricacciato nell'abisso. Era sempre un attimo, e si portava il gusto dell'aria dopo l'apnea forzata.
La seconda volta arrivò meno bruscamente. Tutto si attenuò fino a lasciare un unico ritmo, il suo respiro affannoso, e le scure tonalità di un bosco di conifere. L'ambiente si aprì in una radura. Tutto intorno vigeva un'aura di equilibrata serenità. Pietre dalle dimensioni di un uomo delimitavano un'area circolare. Al centro di questo circolo di pietre solo un albero. Si avvicinò lentamente. Ondate blu montavano dal basso. L'albero era secco e grigio, eppure le sue fronde ospitavano foglie piene di vigore, benché fossero del marrone dell'autunno. Si chinò e cominciò a scavare a mani nude ai piedi dell'albero. Sentì il dolore della terra che feriva le dita. Poi il blu si prese tutto.
Questa volta, invece, era stato come un colpo di gong nel pieno del silenzio della notte. Lampi rossi e bianchi si alternavano. C'erano a torce, a rischiarare un'oscurità sotterranea. C'erano boccette di liquidi colorati e viscosi, cadaveri di piccoli animali ed erbe, tutto alla rinfusa sul pavimento. E c'era, su un tavolaccio, una donna, legata e imbavagliata, gli occhi spalancati dal terrore. Il rosso divenne predominante. Scagliò un lungo bastone lontano da sè, nel buio. Il rosso ormai era solido e madido di furia. La sua coscienza vacillò investita da scosse di pura frustrazione. Poi uno strappo improvviso e si trovò a percepire la ruvida superficie di un pensiero in mezzo al caos di pulsazioni carminie: "Non funziona. Serve più potere. Molto più potere." Il colore nero entrò in scena e ballò con il rosso in lunghi cerchi concentrici. Le sue mani si strinsero sul collo della donna. Al centro del gorgo nero la sua immagine apparì sempre più lontana, sempre più lontana, finché ogni cosa sfumò nuovamente nell'indistinto clamore della sua infinita stasi.

1 commento:

Kelpie Malefico ha detto...

Belli sti racconti :)
peccato che alla fine ce li caghiamo solo io (che non ci capisco molto...) e Francesco...

vabbé peggio per tutti loro che vivono nel XIX secolo :)